
La nascita dell’attuale
Musica Arabita risale al 1923
quando alcuni allegri cittadini
ripresero le antiche tradizioni
ormai dimenticate
e le riportarono alla ribalta.
La tradizioni a cui accenniamo risalgono alla fine dell’Ottocento quando vivevano a Fano, come in tutte le altre città del tempo, due fazioni: i nobili ed i ricchi proprietari terrieri da una parte, gli operai ed i marinai dall’altra.
Queste due fazioni si escludevano a vicenda. Nelle serata di gala in particolare i patrizi si dilettavano ad ascoltare opere musicali, e nei salotti pianoforte, violino ed arpa erano all’ordine del giorno, mentre i plebei ne erano esclusi.
Fu proprio per l’esclusione del popolo da quei salotti, ma soprattutto per l’insofferenza del volgo per quella musica gentile e melodica che si ebbe la prima reazione.
Nacque così la «Bidonata», una specie di complesso che traeva ritmi alla meno peggio da pentole, barattoli e bidoni. Ma quei giovani che percuotevano quelle strane casse armoniche, non avevano una disciplina e si curavano solo di satireggiare i delicati strumenti dei nobili.
Fu così che sorsero i violini a sonagliera, i cembali di latta, i corni e cornette fatti con tubi di ferro.
Ma a poco a poco, il gruppo di questi spensierati si assottigliò tanto che ad un certo punto si dissolse completamente. Proprio nel 1921, però, accadde che alcuni giovani ripensassero al passato e pensassero di far rivivere l’allegra tradizione.
Al principio fu un periodo di stenti; poi, il gruppo si potenziò e quindi passò a rallegrare con i suoi ritmi tutte le città della Regione e poi a quelle internazionali.
E così la Musica arabita si sviluppò, adunò nuovi elementi, si organizzò al punto di portare in ogni festa, in ogni sagra, gioia e buonumore.
Solo nel 1957 il gruppo cominciò una nuova vita, la vita seria e disciplinata di un vero complesso folcloristico, organizzato e gaio nello stesso tempo. I componenti cominciarono a riunirsi in sere prestabilite e provavano, provavano quei famosi pezzi che sarebbe poi stati portati sulle piazze.
Tratto da: Il Resto del Carlino del 23/2/1968